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US CAPRANICA - Stagione 1963/64.
In piedi da sx: Calcagni V. (All.) - Cavalieri F. - Calcagni L. - Chiasserini A. - Petrucci S. - Felici M. - Tanci R.. Accosciati da sx: Speranza Totto. - Capaldi A.- Pannunzi R.- Calcagni C. - Sansoni G..
Articolo di giornale.
Articolo di giornale.
U.S. CAPRANICA - Anno 1965.
In piedi da sx: Panunzi R.(All.) – Marrocco P. - De Luca L. – Tosin L. (dietro Vispi A.) Chiasserini A. – Maramici A.- Tanci R. Accosciati da sx: Speranza A. - Sansoni C. - Minardi C. - Calcagni C. - Petrucci S..
Articolo di giornale
US CAPRANICA - Stagione 1963/64.
In piedi da sx: Mantrici V. - Cintoli Pres. - Cavalieri F. - Speranza Totto - Sansoni G. - Chiasserini A. - Morera G. - Pannunzi R.- Tanci R. - Spinella V.(Dir.) Calcagni V. (All.). Accosciati da sx: Capaldi A.- Petrucci S. - Felici M. - Calcagni L. - Calcagni C. - Vispi A..
US CAPRANICA - Stagione 1963/64.
In piedi da sx: Calcagni V. (All.) - Cavalieri F. - Calcagni L. - Chiasserini A. - Petrucci S. - Felici M. - Tanci R.. Accosciati da sx: Speranza Totto. - Capaldi A.- Pannunzi R.- Calcagni C. - Sansoni G..
US CAPRANICA. Stagione ../..
In piedi da sx: Speranza A. - Chiassarini A. - Sansoni G. - Sansoni C. - Petrucci S. - Tanci R.. Accosciati da sx: Cocozza D. - Calcagni L. - Badini L. - Lucidi E. - Calcagni C..
US CAPRANICA - Stagione 1963/64.
In piedi da sx: Stella A. - Mattei o Paietta . - Sansoni G. - Calcagni C. - Tanci R. - Capaldi A.- Accosciati da sx: Felici M. - Angelis .- Petrucci S. - Calcagni L. - Cocozza D..
US CAPRANICA-Stagione sportiva 1964/65.
In piedi da sx: Mantrici V.(Dir:) - Cherubini W.(All.) - Speranza A. - Maramici R. - De Luca L. - Angelis .- Felici L. Dir. - Tosin L. - Tanci R. - Cintoli P. Presidente - Spinella V. Acc.. Accosciati da sx: Petrucci S. - Sansoni C. - Toti C. - Lanfranconti F. - Calcagni C.
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US CAPRANICA. Stagione ../..
In piedi da sx: Felici M. - Sansoni G. - Speranza A. - Stella A. - Petrucci S. - Chiassarini A.. Accosciati: Badini L. - Capaldi A.- ? -? - Calcagni L. - Cocozza D..
US CAPRANICA - Stagione sportiva 1965/66 2^ categoria.
In piedi a sx: Salvitti S. (Dir.) – Nelli G.- Calvani C.- Torelli L- Felici L. (Dir.) Speranza A. - Tanci R. - Dirigenti Morera A. Morera
G. e Mantrici S. - Allenatore Cherubini W. – Petrucci S.(Dir.
Acc.).-
Accosciati da sx: Messina A.– Mascia G.- Sansoni C. - Cartamantiglia S.– Marin G. - Calcagni C..
US CAPRANICA. Stagione ../..
In piedi da sx: Scheggi – Narducci - Sernacchioli G – Rossi – Ferri - Speranza A.. Accosciati da sx: Calcagni C. – Egidi - Calcagni L. - Marin - Federiconi.
US CAPRANICA - Campionato di 2^ categoria - Stagione 1968/69.
In piedi da sx: Cherubini V. – Piagnarelli – Loddo – Calvani - Dir. Felici L. – Tosti – Mattioli - De Luca L. – Marin - Dir. acc. Piccirilli A.. Accosciati da sx: Dir. Orsi S. - Ciomei S. – Giaimo - Spaolonzi M - Sodano.
US Capranica vs Vignanello ?: 6 - 0. Con tripletta segnata dal calciatore Spaolonzi Massimo.
US CAPRANICA - Campionato 2^ categoria – Stagione 1971/72.
In piedi da sx ? . Allenatore – Ferro - De Luca L. – Vandini – Marin - Frate Paul - Il Sindaco Crocicchia A. Accosciati da sx ?. - Sernacchioli G. - Naddeo G. – Radi - Calcagni L. - Gilmar.
US CAPRANICA. Stagione ../..
In piedi da sx: ?. Dir. Corradini B.- Sernacchioli G.- ?.?.?. Sansoni C.- Speranza A.- ?. Accosciati da sx ?. Calcagni L.- De Luca L.- ?. ?. Calcagni C..
Il centravanti Cesare Sansoni va in gol.
Il centravanti Cesare Sansoni va in gol.
US CAPRANICA Capranica - Orte
Il calciatore De Luca Luigi in una fase di gioco
US CAPRANICA - Stagione sportiva 1963/64. Felici Mario detto Chiavicò.
US CAPRANICA.
Mario Felici in gol con un colpo di testa sotto lo sguardo del centravanti Cesare Sansoni.
US CAPRANICA - Stagione sportiva 1963/64. Speranza Antonio Maria detto Totto.
Parata del portiere Franco Cavalieri.
Il calciatore Tanci Renato in gol con un preciso colpo di testa.
Il portiere Franco Cavalieri para un calcio di rigore.
Il centravanti Sestilio Petrucci in gol.
Il centravanti Sestilio Petrucci in gol.
Parata a terra del portiere Franco Cavalieri.
CAPRANICA - VETRALLA
Incursione in area di rigore del centravanti Cesare Sansoni.
Capranica - Monteromano 4 - 2 . Fase di gioco.
Stagione sportiva 1964/65 2^ categoria Inizio di una partita.
Da sinistra Maramici A.- Tanci R.- Tosin L.- Toti L.- De Luca L.- Angelis .-Petrucci S.- Speranza A.- Sansoni C.- Lanfrancotti .- Calcagni C. Cap.
Fase di gioco di una partita amichevole giocata dal Capranica.
Capranica - Monteromano 4 - 2 .
Capranica in gol.
CAPRANICA - VETRALLA Stagione sportiva.
Il centravanti Cesare Sansoni anticipato dal portiere avversario.
U.S. Capranica - Fase di gioco
Il centravanti Cesare Sansoni in gol.
Capranica in rete su una violenta punizione.
Il centravanti Cesare Sansoni in gol.
Alle spalle del centravanti Sansoni si intravedono i vecchi spogliatori.
L'attaccante Sestilio Petrucci mette scompiglio nell'area avversaria.
Campionato di 2^ Categoria.
Il capitano Carletto Calcagni nel momento del lancio della monetina.
Il Capranica in gol con un colpo di testa di Mario Felici sotto lo sguardo attento del centravanti Cesare Sansoni
Fase di gioco
L'attaccante Sestilio Petrucci in gol.
US CAPRANICA
In piedi da sx: Petrucci S. - Onofri L. – Onofri N. - ? – Calcagni L. – Lucciola R. – De Luca L. – Sansoni C. – Lanzalonga B. – Calcagni C. All.- Accosciati da sx: Orsi S. Dir. – Chiodi L. – Quattrini A. – Salvitti L. – Platti G..
US Capranica – Rete del centravanti Cesare Sansoni
US Capranica – Campionato 3^ Categoria – Stagione 1972/1973
In Piedi da sx: Calcagni L. - Platti G. – Andreotti T. Dir. – Salvitti L. – Crocicchia C. – Onofri L. – Chiassarini A. – De Luca L. Dir. – Tanci R. – Sernacchioli G.. Accosciati da sx: Onofri N. – Sansoni C. – Mantrici U. Pres. – Oroni A. – Calcagni C. – Puccica G. – Ciomei S.
US Capranica – Campionato 3^ Categoria – Stagione 1971/1972
In Piedi da sx: Sernacchioli G. – Onofri N. - ? – Speranza A. – Lucciola R. – De Luca L. – Onofri L. – Buratti F. – Oroni C. – Quattrini F.. Accosciati da sx: Il frate Paul – Salvitti L. Calcagni L. – Platti G. – Puccica G. - Ciomei S..
L'allenatore Cherubini Volfango e il dirigente Felici Luigi, premiano il Capitano Carletto Calcagni.
Campionato di 2^ categoria - Stagione sportivo 1965/66. Il bravo e guizzante attaccante Messina.
La medaglia di Carlo Calcagni.
La medaglia di Carlo Calcagni.
Il Capitano Carletto Calcagni, viene premiato dal Sindaco di Capranica Crocicchia Anselmo.
Articolo di giornale.
Articolo di giornale.
Articolo di giornale.
Articolo di giornale.
US CAPRANICA
da sinistra Renato Tanci, Giorgio Sansoni, Cesare Sansoni e Sestilio Petrucci.
Mario Felici - 56 anni dopo
Le giovani promesse del calcio capranichese da sinistra, Luigi Calcagni centrocampista e Mario Felici attaccante di fascia.
Il giovane calciatore Luigi Calcagni.
US Capranica
Puccica Giovanni durante una fase di gioco.
US CAPRANICA
da sinistra Ciomei Sandro, De Luca Luigi e Onofri Nazzareno.
I fratelli Giorgio e Cesare Sansoni a destra si riconosce Tanci Renato.
Il difensore di fascia Speranza Antonio Maria detto Totto
Il grande Chiassarini Antonio terrore dei portieri per il suo forte tiro.
TOSIN LINO
Nato a Ivrea (TO) il 14 settembre 1943
Ruolo: Centrocampista
Il piccolo Lisi Serafino dopo le partite aveva il compito di recuperare le bandierine e il miracoloso secchio dell'acqua.
Il Padre Ivo era il Custode del Campo Sportivo
Prima parte
Osservare lo sventolio di bandiere in uno stadio è un’emozione grandissima, calda rappresentazione di un gesto che ha il sapore di un incoraggiamento, di un’esultanza dopo un gol, dell’estasi della vittoria o di una frustata di orgoglio dopo una sconfitta. Un asta, una stoffa, materiali inanimati che da soli non potrebbero che rimanere immobili se non intervenissero con vigore braccia e mani o un alito di vento. Ci sono bandiere che non hanno bisogno di essere sventolate e non hanno bisogno né di mani né di vento perché hanno già insite in loro stesse la grandezza della propria natura e che mettono d’accordo tutti trasportando agli occhi altrui l’immagine nitida di un “simbolo”. Una di queste bandiere, uno di questi simboli è Carlo Calcagni classe 1937, 23 luglio. Terzo figlio, dopo quel Vittorio (Bembarek) precursore della dinastia calcistica dei Calcagni e Peppe a cui piace poco il rumore della palla ma quello che sente sul viso quando fende l’aria, a lui piace correre. Abita in vicolo di forno da capo proprio dietro al ponte dell’orologio dove i rintocchi scandiscono il tempo, in seguito a Via forno di mezzo dove il forno c’è per davvero, dove Carlo gioca, immerso tra i profumi del pane caldo e l’odore del pallone che sente sempre più forte. Gioca coi suoi fratelli, coi suoi amici, ogni tanto in giro, ogni tanto nel corridoio della sua casa palleggia con Giggi, con una camera d’aria di un pallone di cuoio, sognando di essere altrove. Quando Don Alberto comunica la partecipazione alla squadra nel torneo intitolato al “Monsignor Gori”, Carlo ha già un anno di calcio alle spalle trascorso in una squadra di Viterbo. Raduna i suoi compagni nel locale attiguo alla chiesa di Santa Maria e spiega loro come funziona l’appello dell’arbitro insieme ai suoi gesti per indicare le punizioni e tutte le altre eventuali decisioni. Lo ascoltano attentamente come se stesse parlando di fantascienza quando invece sono solo le regole base, ma loro non le conoscono e si affidano a lui; è il loro punto di riferimento, come fosse un fratello maggiore, quello su cui confidare fuori e dentro il campo, quando arriverà il momento.
Seconda parte
Terminata la parentesi giovanile a Capranica Carlo viene adocchiato dal Ronciglione che lo vuole tra le sue file alla corte dell’allenatore paraguaiano Dionisio Arce, ex giocatore professionista di Lazio, Napoli, Sampdoria. Vi resta anche l’anno successivo quando prende la squadra Sergio Andreoli il quale ne rimane colpito dal suo tempismo e dalla capacità di non perdere mai la palla tanto che le sue parole in quel Capranichese che ha sempre mantenuto, furono: ”guarda un po’ stu fregno, a palla ci l’ha sempre lui!”. Quello sarà l’anno buono perché il Ronciglione vincerà il campionato e accederà in “promozione”. Verrà corteggiato fortemente perché rimanga a Ronciglione, soprattutto a livello economico ma sente che c’è fermento a Capranica per costituire una squadra e lui vuole tornare a casa, vuole giocare lì dove la sua passione è nata. Carlo è terzino, anche se inizialmente nasce come mezz’ala e gioca in avanti così come “Tirinti” ma il “campo” è un po’ come l’ufficio di collocamento, prima o poi ti trova il ruolo giusto. Gioca col numero due e in quella fascia ci vede un pò di quel corridoio di casa nel quale palleggiava la camera d’aria. Gioca con quel numero “basso”, umile, dove le luci della ribalta non sono puntati ma uno di quelli dove la squadra si poggia. Gioca anche al centro della difesa Carlo, non ha problemi perché lì dietro ci sa fare dovunque e quando la squadra fatica apre la porta di quel lungo corridoio e comincia a macinare discese per portare i palloni agli attaccanti che stazionano in area. Ha un bel tiro e qualche gol lo farà anche da lontano, uno precisamente nella partita amichevole contro le “Vecchie Glorie della Roma”; un altro lo segnerà a Girò nel torneo a Bassano Romano che precederà il trofeo Storti. Ma quello che viene fuori, visibile, tangibile è la serietà dell’uomo, l’affidabilità, la personalità del calciatore che in seno alla squadra è come un faro nel buio. Punto di riferimento indiscusso, “marchiato” benevolmente da chi lo ha allenato e dai suoi compagni, con il simbolo più alto di riconoscimento morale e calcistico: la fascia di capitano.
Terza parte
Papà Azeglio dice poco ma ascolta sornione i discorsi dell’osteria dove il calcio non ha immagini ma solo parole e in quelle parole c’è spesso il nome di Carlo, lui non lo dà a vedere ma in cuor suo è orgoglioso così come Vincenza. E’ vero che sbraita un po’ per i panni da lavare ma quando tornano “i fratelli” dalle partite è la prima a domandare se hanno vinto o perso. Farà parte del primo campionato nell’anno 63/64 e poi una lunga sfilza di presenze, tra le quali quelle nelle prestigiose vittorie nel 64/65 con quel Capranica che sopravanzò il Vignanello e nel 74/75 stagione nella quale collezionò solo poche presenze prima di lasciare definitivamente. Le innumerevoli foto in bianco e nero lo ritraggono con ognuna delle maglie del Capranica, sempre presente, al centro del campo, per un sorteggio, per ricevere un premio, con la sua immancabile fascia da capitano. Una carriera lunga quella di Carlo e dopo il calcio giocato successivamente si dedicherà ai giovani ricoprendo la carica di allenatore e dirigente. Ma, anche quando le ceneri di atleta saranno spente, ritorneranno a far visita magnifici ricordi trascorsi sul campo. Ogni tanto, mentre lavora, ne parla con il fratello Giggi quando sono lì col banchetto per preparare la carta da parati. Ricordano l’infinità di partite, di squadre, di giocatori, soprattutto quelli forti dell’epoca coi quali si sono confrontati: Mucciante, Baruzzi, Cipriani, Salmucci, Faraoni, i fratelli Santaroni, Sansonetti, Orlandi, Maracci, Adolini e altri che hanno fatto la storia del calcio Viterbese. Una passione infinita quella di Carlo per il calcio, vissuta dando tutto sul campo, vissuta dai bordi campo oppure davanti alla TV sulla sua “sdraio” con la tela a righe dopo una dura giornata tra scale e pennelli. “Al calciatore Carlo Calcagni per impegno e serietà”. Questa la sintesi della sua lunga carriera che Volfango Cherubini gli donò con parole incise nell’oro di una medaglia alle quali Carlo teneva tanto, parole che rimarranno nel tempo a ricordo di un simbolo calcistico che ha dato tanto al calcio capranichese.
Quarta parte
“Carletto”, “Zi Cà”, “il capitano”, “il 2”. Vari sono gli appellativi che vengono attribuiti a Carlo Calcagni Personalmente non ho ricordo di “Carletto” per quanto riguarda il calcio giocato ma ne ho molti altri rimanendo sempre in questo ambito. Intanto Carletto è stato il mio primo allenatore, ho ben nitide le immagini di quando aspettavamo in campo che arrivasse per trasmetterci i primi rudimenti di questo sport che tanto ci ha appassionati e che ci appassiona ancora. Arrivava vestito da lavoro con i pantaloni e le scarpe quasi sempre schizzati di vernice dopo una giornata vissuta tra pennelli scale e vernici. Dava indicazioni guardandoci con i suoi occhi verde tormalina e simulando l’esercizio da fare, “fate così” diceva. Lo ricordo tutte le volte che ci accompagnava alle partite con la sua Renault 5 marrone metallizzato. Quando caricavamo le borse nel portabagagli c’era sempre qualche oggetto del mestiere che lui prontamente ci suggeriva di spostare da una parte, che so, della carta vetrata, una “pennellessa”, un pennello a “pippa”. Di solito noi ragazzi ci sedevamo sul sedile posteriore mentre quello affianco al suo era occupato o da un altro papà o da qualche amico. Quante risate ci siamo fatti! Nel portaoggetti le sue nazionali rosse e blu, sopra il cruscotto la sua scorta di mandarini che spesso ondeggiavano in seguito al movimento delle sterzate; ne alternava qualche spicchio ad una bella fumatina. Quanti pre-partita in quella macchina e quanti post-partita! Tutti quegli anni di calcio alle spalle gli avevano dato un’esperienza, un’obiettività e un tatto che a pochi ho rivisto in seguito. Carletto aveva la capacità di non esaltarci troppo quando facevamo bene ma usava parole misurate quando andava male pur rimanendo sul binario della franchezza. Ascoltavamo con attenzione le sue parole e seguivamo attentamente dallo specchietto retrovisore i suoi discorsi e i suoi occhi muoversi rapidi, quegli occhi che non ci mentivano mai. Grazie Carletto”.
Luigi Loia
Prima parte
Probabilmente papà Azeglio non diceva niente di calcio e si limitava a fare il norcino come sempre ma mamma Vincenza si. Vincenza era pratica e il solo pensare di dover lavare ulteriori panni dopo quelli di Vittorio, Peppe, Carlo la metteva in ulteriore difficoltà; questo sarebbe costato arrotolare il “curoio”, prendere la pesante conca di zinco fare strada fino al lavatoio e ritorno perché ora c’era anche la roba dell’ultimogenito da lavare. Ma quel ragazzino dalla frezza bianca, “penna bianca” per tutti noi, aveva già visto il pallone rimbalzare tra i piedi dei suoi fratelli tanto da restarne rapito e ci metteva un secondo da Via Forno da Capo per raggiungere il “Mandrì” e giocare. E’ li che comincia ad addomesticare il pallone, in quello spiazzo a forma di mezza luna che ogni giorno diventa sempre più stretto per le sue gambe ma soprattutto per i suoi polmoni generosi. Il ragazzo ha bisogno di spazio per giocare e allora comincia a sgambettare sotto il cedro dell’acquaforte dove ci sono le sembianze di un campo e la partita sembra più vera. Gigi Calcagni da Capranica 16 marzo 1944, rincorre una palla di gomma e a volte anche di materiale meno nobile. Ma quando quel giorno la vede di cuoio nei pressi della vecchia caserma, impazzisce di gioia, come i suoi compagni. La vede arrivare tra le mani di Franco Baldi a cui era stata regalata e che vuole condividere la sua felicità con i suoi amici esibendola come un trofeo. La palla verrà baciata e stretta con tutta la partecipazione del mondo da quei ragazzi. La passione passa attraverso cose e persone e una di questa è Don Alberto Bonini parroco atipico per l’epoca, intraprendente, abile a coinvolgere i giovani nello sport. I ragazzi accetteranno di allenarsi e correre ovunque, perfino dentro il cinema vecchio con entusiasmo ed eccelso spirito di squadra. Parteciperanno più tardi al primo campionato CSI. Giggi nel frattempo lavora ma il suo pensiero corre al pallone e quando si profila la possibilità di un amichevole contro la Viterbese si impegna ancora di più. Nelle pause pranzo del lavoro dopo aver mangiato qualcosa si infila dentro il campo rovente di agosto per farsi trovare pronto all’appuntamento. Non essendoci a Capranica una squadra di juniores si trasferisce insieme a Luigi Badini nella vicina Vetralla nella quale farà parte dell’undici locale. Nel 63/64 si fa sul serio, Giggi partecipa al primo campionato di terza categoria a Capranica. Il giovanotto a gamba, predilige la zona di centrocampo ma ovunque veda saltellare il pallone lo insegue ricorrendo a cuore e polmoni. Patisce un po i corpo a corpo per via della sua corporatura minuta ma è un furetto geloso del pallone, fin troppo e lo nasconde bene all’avversario che spesso è costretto a fargli fallo. Nel 64/65 il Capranica colleziona sette vittorie ed un pareggio, quando, a gennaio, Giggi parte per fare il militare. Sarà quello l’anno in cui vincerà il suo primo campionato. Continuerà a giocare nelle file del Capranica che nel 74/75 si aggiudicherà il secondo campionato nella rocambolesca finale di Sutri con il Bassano Romano. Nel campionato successivo durante una partita in cui sta giocando divinamente viene colpito da un avversario duramente nel corso di un’azione di gioco. Uno scatto fotografico lo ritrae al centro del campo con la stampella a ritirare un premio, seguirà inattività e gesso per un bel po’. Continuerà ancora Giggi fino al giorno in cui metterà la parola fine al calcio giocato e anche se non sarà più protagonista rimarrà legato a questo sport che ha amato e ama oltre ogni limite.
Questo il nostro omaggio
Seconda parte
In una partita giocata a Capranica contro il Ronciglione, nonostante la gara terminò sul punteggio di zero a zero Giggi giocò veramente bene tanto che Guerriero Ciomei fece un articolo dove sottolineava la buona prestazione del centrocampista capranichese. Successivamente giunse puntuale il complimento ironico del caro Mastr’Agù che disse a Giggi: “Oggi ti danno a giacca!”. Pare che in quel periodo i giocatori della Roma che avevano giocato bene nella partita della domenica gli veniva offerta in regalo, da una nota azienda capitolina, una giacca.
Tratto dai suoi ricordi
Terza parte
Le partite tra ragazzini di solito avevano luogo in qualche spiazzo del paese, molto spesso all’acqua forte e al campo sportivo. Ma Giggi e compagni a volte si spingevano oltre, fino a dove, ai tempi di oggi, sarebbe impensabile. Quella volta andarono a Monterosi; ma nessuno li accompagnò con la macchina, ne presero un autobus e men che meno il treno perché a Monterosi la stazione non c’era e non c’è tuttora. Come un’armata Brancaleone partirono in bicicletta. Non tutti però avevano la fortuna di avere la bicicletta quindi alcuni di loro viaggiavano in due su una sola bicicletta. Roba da brividi, col traffico dei giorni nostri ai genitori di oggi una simile situazione farebbe venire le palpitazioni a mille. Disputata la partita tornarono a casa, sempre in bicicletta, e incontrarono Giuseppe Felici “Pepparò” che gli chiese come era andata la partita, chi aveva giocato, chi aveva segnato. Solite curiosità che si domandano dopo una partita. Chiese chi aveva giocato in porta, chi in difesa, a centrocampo e in attacco. Ognuno di loro diede le spiegazioni del caso e quando fu la volta di Domenico Straffi, Pepparò affermò con simpatia: “tu che hai fatto, il direttore?” e da quel giorno al nostro caro Domenico Straffi rimase l’appellativo di Memmo u Direttò.
(Presentazione)
Sono nato a Capranica i l 20 Luglio del 1943. Verso la fine degli anni quaranta iniziai ad interessarmi del gioco del calcio spinto da giovani, amici di mio fratello Gino, che invadevano la mia casa per ascoltare le radiocronache delle partite di calcio di Nicolò Carosio. Spesso anch'io mi intrattenevo ad ascoltare e mi rimanevano impresse le parate del portiere elogiate dal radiocronista. In realtà non riuscivo capire di cosa si trattasse fino a quando una domenica mi portarono a vedere una partita di calcio del Capranica presso l’attuale campo sportivo. Completamente diverso da quello di oggi: un campo sterrato pieno di sassi e di erbacce, senza spogliatoi, senza le reti di recinzione e senza le reti delle porte, le quali erano formate da soli tre pali verniciati di bianco. Ricordo alcuni nomi di quella squadra: Bruno Mezzacapo, il fratello di Don Nicola Fiorentini, Vittorio Calcagni, Pontremolesi Carlo detto "Zappa", De Luca Giuseppe detto Rizzopilo, Giorgio Sansoni, Tonino (della stazione) ed il portiere Pontremolesi Pietro soprannominato "lo scozzese". Fu proprio il comportamento del portiere che mi colpi in particolare: un uomo solo a difesa dello specchio della porta al quale non era concesso di fare il minimo errore; un uomo pieno di responsabilità diverso dagli altri giocatori. Fu quell'immagine che rimase così impressa nella mia mente che "decisi": anch'io voglio fare il portiere. I primi calci ad una palla, insieme ai miei amici. li tirammo in Piazza Roma, oggi Piazza VI Luglio, dove si trovava il Comune. I nostri giochi: le piste disegnate sul lastricato, la campana, il cozzarello ecc. erano sempre "minacciati" bonariamente dai vigili Antonio Lucidi ed Ezio Baldi più ancora dal daziere di allora Nardo. La piazza quasi tutto il giorno vuota si riempiva la sera di carretti e di un camioncino di Francesco Latini allora fruttivendolo. Il chiasso di noi ragazzi disturbava gli impiegati comunali, ma giocare a palla (pallone) era per noi il divertimento maggiore accompagnato dalle figurine dei vari calciatori di serie A che si compravano in bustine da cinque figurine, con 10 l ire, dal tabaccaio e giornalaio Luigi Lanzalonga. Tutto questo avvenne sino agli inizi degli anni cinquanta, quando terminate le scuole elementari andai in collegio a Pusiano in provincia di Corno, insieme ad altri Capranichesi. Fu proprio il collegio, nel quale il gioco del calcio era il maggior divertimento, che mi entusiasmò ancor più ad occupare il ruolo di portiere. Tanto mi stava al cuore il gioco del pallone che il primo anno, in prima media, trascurai lo studio sino al punto che mi bocciarono. Il gioco del portiere lo sentivo dentro di me tanto che dopo il secondo anno diventai il portiere titolare della squadra del collegio che spesso giocava con le squadre dei paesi vicini.
Pantaloncini e scarpini utilizzati da Franco durante le sue partite.
Prima parte
Al mio ritorno a Capranica, alla fine degli anni cinquanta, con grande delusione non trovai più la squadra del paese, ma esisteva ancora il campo sterrato dove nei pomeriggi estivi si andava a tirare due calci; naturalmente il mio ruolo, con una certa esperienza, era sempre il solito "portiere". Frequentavo l'Istituto tecnico Paolo SAVI di Viterbo ma non disdegnavo affatto in ogni occasione di interpretare il mio ruolo preferito. Intanto, grazie alla buona volontà di tante persone, mi preme ricordare Pietro Cintoli (poi Presidente), Luigi Felici, Vittorio Calcagni, Giovanni Morera, Francesco e Benedetto Tempesti. Luigi Speranza, Vincenzo Mantrici, i giornalisti Umberto Mantrici ed Enzo Barella, il fotografo Francesco Morera grazie al quale con i suoi tanti ricordi fotografici che rimangono una testimonianza unica. Una citazione particolare per il simpaticissimo Spinella e tanti altri. Si cominciò a parlare di rifondare la squadra di calcio del Capranica. Così fu ed il 19 settembre 1963 si giocò la prima partita ufficiale del Capranica Calcio: era la coppa Bruno Storti (Segretario Generale della CISL che insieme a Lama (CGIL) e Vanni (UIL)costituirono la celebre troica che fecero tante innovazioni a favore dei lavoratori italiani. Vincemmo la Coppa contro il Bassano per 1 a 0 grazie al gol di Antonio Chiassarini; naturalmente in porta giocai io e questa fu la mia prima partita con la maglia del Capranica, allenata da Pontremolesi Pietro detto lo “Scozzese”. Nell’ autunno dello stesso anno iniziò il primo campionato del Capranica in terza Categoria. I dirigenti al mio posto preferirono altri compaesani e per tutto i l girone di andata io non giocai neanche una part ita. La squadra non andò molto bene fino a quando all'inizio del girone di ritorno con l’innesto di Panunzi, un giocatore esperto venuto da Roma e con il mio inserimento nel ruolo di portiere, le cose andarono molto meglio tanto che finimmo i l girone al secondo posto senza perdere una sola partita. Intanto l'entusiasmo dei nostri concittadini cresceva sempre di più, tanto che le domeniche che si giocava in trasferta, oltre alla macchine fu necessario noleggiare un pulman per i tifosi. Ricordo ancora la prima partita a Carbognano che vincemmo 4 a 2, al termine della quale i dirigenti del Carbognano, dopo avermi insultato per tutta la partita vollero fare una foto con il sottoscritto e Panunzi per fare ricorso alla federazione poiché ci ritenevano dei professionisti. Tanto era grande l'entusiasmo intorno alla squadra che alla vigilia della partita con il Vetralla io dovetti andare a Tivoli per parteci pare ad un matrimonio al quale non potevo rinunciare. La partita con il Vetralla era importante per la classifica ed i Dirigenti del Capranica, studiarono una mossa tattica. La domenica mattina, all'uscita della chiesa dove si era celebrato il matrimonio, con mia sorpresa trovai Luigi Felici e Mario Andreoli che erano venuti a prendermi per farmi giocare la partita. Non potei dire di no, salutammo gli sposi i quali ci fecero preparare dei panini che consumammo durante il viaggio di ritorno a Capranica. Il tempo di prendere la divisa e subito a Vetralla. La partita finì 1 a 1 ed io parai anche un rigore. Lascio a voi immaginare l'entusiasmo di tutti noi e di tutta Capranica.
Seconda parte
Si giunse all’inizio del Campionato 1964/1965 d i Terza Categoria ed io giocai quasi tutte le tutte le partire del girone di andata, senza mai perdere una sola partita La squadra era veramente forte in tutti i reparti e le nostre maggiori antagoniste erano il Vignanello ed il Vetralla. Ricordo proprio la part ita in casa con i l Vignanello il giorno della Befana del 1965 tifosi nostri e di Vignanello riempirono tutti gli spazi. Il tifo sempre più acceso tanto che durante la partita un tifoso del Vignanello insultò in malo modo uno dei nostri tifosi; il padre del tifoso che era proprio accanto a lui e tra insulti e parolacce si accese una tremenda lite. Tifosi che rotolavano giù nel pendio mentre la partita continuava. Il maggior prezzo lo pagò Albino Bonaventura che per picchiare i tifosi avversari si ruppe un gomito e portò il gesso per trenta giorni. La partita terminò con pareggio per 1 a 1 e che ci consentì di restare primi in classifica. La partita però che ricordo in particolare fu quella con il Monteromano che vincemmo per 4 a 2 e durante la quale parai addirittura due rigori. In quella partita ci fu un altro particolare che ricordo bene: durante una parata sbattei la testa contro il palo e subito il simpatico Spinella, dalla panchina, corse verso di me con il suo secchio di acqua e con la spugna mi fece alcuni bagnoli, solo che al termine, per la fretta, mi colpì col secchio sempre sulla testa ed il secchio non era di plastica ma di metallo, così dovette continuare a bagnarmi. Al termine della partita fummo tutti portati in trionfo dai nostri appassionati sostenitori. Purtroppo alla fine di gennaio dello stesso anno in un incidente mi fratturai il malleolo e per questo fui costretto ad abbandonare il mio tanto amato ruolo di portiere. Il campionato terminò con la nostra vittoria e la conseguente promozione alla seconda categoria. Quello vinto fu il campionato in cui tutti noi giocatori avevamo un “contrattino” con il quale si prevedeva un premio in denaro così costituito: lire 2.000 (1 euro attuale) per ogni vittoria, lire 1.000 (50 cent.) per ogni pareggio fuori casa e nulla in caso di partite perse o di pareggi casalinghi. Alla fine del torneo la “cospicua” somma guadagnata servì soltanto per acquistare scarpini, magliette e calzini e lo facemmo con tanta gioia. Per la vittoria ci fu una grande cena, presso il ristorante di Giovanni Morera, con i dirigenti ed i giocatori in una armonia unica che non fu mai vista. La mia “carriera” di portiere terminò però nel 1970 quando come dipendente di Alitalia giocai alcune partite come portiere nella Direzione Amministrativa durante i tornei interni tra le varie Direzioni.
F.to Franco Cavalieri
Prima parte
Non credo sia stato facile giocare a pallone negli anni del dopoguerra quando, oltre a mancare le cose necessarie, mancavano le strutture e i materiali; era la strada normalmente a forgiare talenti, coi suoi muri i suoi lastricati e gli spiazzi polverosi. Nelle strade di Roma comincia a tirare i suoi primi calci Antonio Chiassarini classe 1938, 16 aprile. Si capisce da subito che il ragazzo ha stoffa, da quando comincia a correre sul campo con la sua prima squadra, l'Appio Latino. Se ne accorge dopo poco la Lazio che lo vuole tra le sue giovanili. Nel 1956 effettua tutta la preparazione ma per questioni familiari è costretto a lasciare. Torna successivamente in quel mondo approdando alla Romulea nel 57/58, calcando il noto “Campo Roma”. Le primavere corrono e la leva chiama, Antonio la trascorre a Chieti dove farà parte della Nazionale Militare Dilettanti. Non tarda a mettergli gli occhi addosso il Pescara che lo tessera immediatamente. Quel ragazzo dal carattere mite, educato gioca bene ma mantiene i piedi per terra e più avanti, quando si profila la possibilità di un lavoro, ne coglie l'occasione. Sara l'Autovox la sua prossima squadra nella quale sarà atleta e lavoratore allo stesso tempo. Di seguito giocherà con la Stefer, poi con il Vignanello dove vincerà un campionato. Approda finalmente a Capranica Totò, quel ragazzo robusto ci sa fare, è "tosto cumme u carpino" diremmo noi del posto e soprattutto ha un tiro micidiale. Lo sanno a Vetralla quando aggancia al volo un rinvio del portiere nei pressi del centrocampo; col tacco fa passare il pallone sopra la testa e con una fucilata mette il pallone sotto il sette. Totò gioca bene, ha la dinamite nelle gambe, in un’altra occasione fa partire ancora un missile terra-aria talmente forte che suscita anche curiosità per gli amici e tifosi che lo seguono. Si ritroveranno in molti all' A.C.L.I. per risolvere un simpatico rompicapo. A quanto avrà sparato in porta la palla Totò? La ripresa filmata effettuata da Luigi Felici noto come "Bellafronte" aveva con sé la soluzione, bastava rivedere il video e dopo calcoli spazio diviso tempo e confronti serrati si capì che la palla di Totò viaggiava sopra i 100 orari. Che botta! Al torneo STORTI il Capranica si presenta in finale contro il temibile Bassano. Durante il match Totò fallisce un calcio di rigore, la partita sembra scivolare via sul risultato di parità e infatti i tempi regolamentari si chiudono col risultato di zero a zero. Totò si danna l'anima per rimediare all'errore finché poi ci riesce. A cinque minuti dal termine del secondo tempo supplementare finalmente realizza il gol che consentirà al Capranica di aggiudicarsi il prestigioso torneo. È da brividi la foto di Totò che bacia la coppa attorniato da tifosi festanti. Quell'uomo dal carattere buono dotato di piedi che calciavano col fragore del tuono, che ha fatto sognare i tifosi Capranichesi. Con piacere vogliamo ricordarlo dedicandogli questo omaggio.
Seconda parte
Un episodio che vide protagonista Antonio Chiassarini ebbe luogo al campo sportivo del Vignanello in uno dei tanti incontri che il Capranica disputò appunto con il Vignanello per la testa della classifica. Siamo negli anni 1964/1965 e Totò la stagione precedente aveva militato nella squadra del Vignanello quindi si ripresentò sul suo vecchio campo in veste di avversario. Appena cominciò la partita ci si rese conto che l’ambiente era fin troppo caldo tanto che un sasso lanciato dall’esterno colpì Totò sulla schiena che ovviamente accusò il colpo. Il tempo di riprendersi, una spugna piena d’acqua sul punto colpito e Totò tornò di nuovo in campo. In quella partità il Capranica farà bottino pieno vincendo per 2 a 1 per la gioia dei molti tifosi al seguito e proprio uno dei due gol sarà realizzato da Totò.
Tratto dai ricordi della famiglia
Prima Parte
Capranica, terra di fonti perdute, di “nocchie”, di processioni, di parole con troncature accentate dove prendere diventa “pià”, dove mangiare diventa “magnà”, dove Antonio è “Totò”, Terenziano è “Tranzià”, quasi da sembrare una via di mezzo tra un “volgare” paesano con sfumatura finale francese. In questo gioco di scorciature e accenti anche una affettuosa signora di nome Maria Carmine ne fa le spese diventando “Maricà”. Ma il soggetto del nostro percorso è il figlio di quella signora, quel Luigi De Luca che noi a Capranica conosciamo con il nome di “Giggi i Maricà”. Giggi nasce a Ronciglione l’8 aprile del 1942, figlio unico, per lui la strada si fa quasi subito in salita, perde il papà all’età di soli 8 anni in un momento storico delicato dove era una sfida mettere insieme il pranzo con la cena. Giggi però stringe i denti e si aggrappa al “pallone” giocando con la squadretta dei suoi amici e lo fa nei posti più disparati del paese sconfinando qualche a volta a l’acquaforte” dove è proprio un’altra musica giocare a calcio. E’ anch’esso uno dei ragazzi del gruppo di Don Alberto e contrariamente a quanto molti ricordano gioca centravanti! Giggi va presto a lavorare come apprendista falegname dai fratelli Colivazzi (per noi i “Bebbi”) ma il fascino del pallone lo ha conquistato e come può corre a giocar partite. Maria Carmine è contraria perché Giggi non trascuri il lavoro ma in cuor suo teme che questo benedetto pallone porti suo figlio lontano da lei e questo dopo aver perso il marito non sarebbe sopportabile. Sul finire degli anni 50 però il temuto allontanamento si materializza quando Sergio Andreoli allora allenatore della Viterbese arruola tra le file delle giovanili Giggi e Mario Chiavicò e li terrà in “osservazione” per un pò di tempo per valutarli. I giorni degli allenamenti si recano a Viterbo attraverso un passaggio con la “500” datogli da Lello Faraoni, un calciatore che abitava a Sutri e che anche lui viaggiava per allenarsi a Viterbo. Maria Carmine ha un diavolo per capello quando pensa che Giggi dovrà stare del tempo lontano da lei e per giunta su strada con la macchina! Rimangono qualche mese a Viterbo poi ritornano a giocare in paese dove militeranno entrambi nel Capranica. Giggi piano piano arretra la sua posizione in campo, da centravanti scala indietro, nel cuore della difesa a fare lo stopper. Giocatore di corporatura prestante, dotato di piedi non proprio sopraffini ma molto attento alla marcatura; la specialità della casa è il colpo di testa, Giggi è bravo a colpire il pallone ma anche a scegliere il tempo, a staccare e a rimanere sospeso in aria quell’attimo in più che gli permette di dominare nel gioco aereo. Farà anche dei gol di testa, soprattutto nelle occasioni dei calci di punizione o calci d’angolo vicini all’area di rigore avversaria. Sarà uno degli artefici della vittoria del campionato terza categoria in quella squadra a cui aveva resistito strenuamente solo il Vignanello. Una vittoria pazzesca seguita anche da qualche tafferuglio e uscire vittoriosi e indenni scatenò una gioia tale che Giggi descriverà così: ”Non ci sembrava di aver vinto il campionato ma di aver vinto la vita! “. Era l’anno a cavallo tra il 64 e il 65 e fu un acuto fortissimo per il calcio capranichese, come uno squillo di tromba, uno di quelli che “Renzo u scienziato” emetteva per caricare la squadra, al pari del più noto Oreste Bolmida che invece lo faceva per il “Grande Torino”. Giocherà anche nella squadra amatori dove, dopo aver migliorato la sua tecnica con i piedi, ricoprirà il ruolo di centrocampista. Giggi i Maricà continuerà nel Capranica ad allenare i giovani e in quell’occasione torneranno utili tutti i rudimenti che aveva assorbito nella breve parentesi Viterbese e li metterà in pratica con i suoi ragazzi. Successivamente entrerà a far parte della società come dirigente, persona schietta, sincera, seria e di grande simpatia. Molti di noi con i quali ha avuto a che fare saranno sicuramente dello stesso parere. Anche lui è un alfiere del nostro calcio Capranichese. Questo omaggio sincero quanto doveroso lo vogliamo dedicare a “Giggi i Maricà”, questo nomignolo che racchiuderà sempre quel legame forte e indissolubile tra i due nomi che lo compongono.
di Luigi Loia
Seconda parte
“Ringo”
Alla squadra del Capranica si era infortunato il portiere quindi la società e in primis il presidente di allora si erano adoperati per cercarne un altro che potesse sostituire il titolare. Il presidente consultò le sue conoscenze a Roma e alla fine riuscirono a trovare il portiere. Nessuno ricorda il suo nome ma lo chiamavano tutti “Ringo”. La prima partita da affrontare col nuovo portiere era con il Ronciglione e a difendere i pali c’era questo ragazzo proveniente da Roma. Durante la partita la tifoseria avversaria cominciò a prenderlo di mira, a beccarlo, con lo scopo di distrarlo dal suo compito. Ringo, “Romano de Roma” rispondeva per le rime ad ogni provocazione. La partita continuò con questo leitmotiv fino a quando i tifosi indispettiti dal suo comportamento passarono alle minacce. Ne seguì una scena, seppur deprecabile, quasi da film western. I pochi amici di Ringo ad un certo punto gli lanciarono in campo un coltello. Ringo lo raccolse e con colpo secco lo piantò sul palo della porta che a quei tempi era di legno. Un monito chiarissimo per tutti i tifosi ostili. Pratica sistemata, la baldanza andò via via scemando e fortunatamente non successe niente.
Tratto dai ricordi di Giggi
Terza parte
“Lanfrancotti”
Giocavamo una partita fuori casa quando il Capranica militava in seconda categoria e la partita si era messa veramente in salita, la squadra locale ci attaccava da tutte le parti e noi ci difendevamo come potevamo ma arrancando notevolmente. Il nostro portiere era Lanfrancotti e in quella partita dovette intervenire a destra e a manca per arginare l’arrembaggio avversario compiendo tutte le parate possibili e forse anche quelle impossibili. Quando la partita stava volgendo al termine all’ennesima prodezza Lanfrancotti rimase a terra immobile da sembrare privo di sensi. Essendo il più vicino mi sono precipitato di corsa a verificare il suo stato di salute cercando il suo sguardo e chiedergli come stava. Lui riverso a terra mi guardò e mi disse: “fammi riposare un attimo che non ne posso più. Sono cotto”. Alzai subito la mano per richiamare l’attenzione dell’arbitro e richiedere l’intervento della panchina non tanto per avere chissà quali soccorsi ma per sfruttare del tempo prezioso e dare tempo al mio compagno di tirare un pò il fiato. La partita finì 1 a 0 per noi grazie soprattutto alle parate di Lanfrancotti al quale voglio dedicare questo ricordo.
Prima parte
Porta S. Antonio o, come la chiamiamo noi l’arco di “for di porta”, accesso primo del nuovo borgo è sempre pronta ad accogliere chi vi entra, pronta a salutare chi ne esce, attenta a non dimenticare mai nessuno. Soprattutto chi, per tanto tempo, in quelle vicinanze ha vissuto la propria infanzia, aprendo al mattino i suoi occhi di bambino, richiudendoli alla sera, stanco, dopo intense giornate di gioco. E proprio lì sotto, in Via Acqua Minerale 1, nel rione “Acquaforte” che abita Mario Felici “Mario Chiavicò”. Classe 1944, 26 gennaio, nasce proprio durante il secondo conflitto mondiale. Dopo il 1945 Corre la ripresa dell’Italia, corre la ripresa del “paesello” e corrono le gambe di quel bambino che insieme ad altri vola a perdifiato per tutto il paese, dalla Rosarella alla Veromà, dal Curritò alla Viccinella. Una corsa che sembra non finire mai quando successivamente ci si mette di mezzo un pallone, e allora si corre il triplo, all’Acquaforte o al piazzale della “Madonna”, a farsi qualche partita. E allora sono pallonate a destra e a manca e allora Padre Edoardo ogni tanto sbraita perché quei monelli fanno chiasso che sembra un mercato. E lì c’è una chiesa! Quel pesante pallone è una bellezza vederlo volteggiare e colpirlo con i piedi lo è ancora di più ma a casa si arrabbiano perché le scarpe vanno trattate con cura, come fossero cristalli di Boemia; i più fortunati ne avevano un paio per l’estate e uno per l’inverno mica dieci paia come oggi! Intorno agli anni ’50 un incontro che molti di quell’epoca hanno sempre testimoniato come “speciale”, quello con Don Alberto Bonini parroco della parrocchia di S. Maria. “Don Arbè” come lo chiamano tutti, è prete scherzoso che ci sa fare con i ragazzi, ma anche pratico. Li raduna in chiesa dicendo loro che c’è da risistemare il campo sportivo e allestire una squadretta per prendere parte al campionato CSI dove incontreranno le squadre dei paesi limitrofi. E allora via, chi con la carriola, chi a sistemare le porte, chi la recinzione e i genitori a dannarsi l’anima perché li volevano impegnati a studiare o ad aiutare a casa. Una domenica di settembre del ’59 il Don consegna loro delle sacche di tela con dentro tutto l’occorrente, calzoncini, calzettoni, tuta. Ci sono anche i bramati scarpini che Mario custodisce meticolosamente così come Giggi “Penna bianca” ed insieme spesso vanno da Emilio Londero “u Veneto”, dove lavora come ciabattino il loro amico “Tirinti”, per far risistemare i tacchetti e quant’altro. Ci sono anche le maglie di colore giallo, Mario ha quella col “7”, quel numero lo ha cucito ancora ancora sul cuore e lo accompagnerà per molto tempo insieme ai suoi 60 chili sulla fascia destra di qualsiasi campo fino all’ultimo giorno della sua parabola calcistica; correndo veloce con il pallone tra i piedi, dribblando senza temere, arrivando in fondo al campo per confezionare più cross possibili per chi i gol è obbligato a farli per mestiere. Non realizza molto, lo stretto necessario e qualche gol lo deve a Giggi Calcagni che lo pesca bene per la stoccata finale. Qualche gol lo pagherà a caro prezzo come al torneo di Bassano Romano del 1963 quando su cross dalla sinistra di Angelis (u callararo) anticipa di testa Girò che, giungendo in ritardo, gli rifila un cazzotto in un occhio. Risultato: gol, occhio tumefatto e purtroppo anche sconfitta perché il Capranica perderà 4 a 3. La rivincita ci sarà al trofeo “Storti” ma Mario la vedrà al di fuori del campo. L’indomani ha gli esami di riparazione e il papà Fernando non vuole sentire ragioni, non si può mettere a rischio l’esame per qualche infortunio. Prima la scuola! E aveva ragione. Il campionato 64/65 finalmente è quello buono, dopo una dozzina di partite Mario parte per il servizio militare, quando ritornerà avrà l’occasione di partecipare alle ultime tre partite del campionato e poi sarà tripudio per quella squadra che vincerà il campionato. Verrà premiato insieme agli altri componenti della squadra con una medaglia dal allora Sindaco Anselmo Crocicchia.
A Mario va questa nostra dedica per il suo passato tra le file del Capranica.
Seconda parte
Nell’anno 1961 fu organizzata una partita amichevole importante per il nostro paese nella quale il Capranica rafforzato di qualche unità giocò contro le Vecchie Glorie dell’AS ROMA che nel 1941/1942 aveva vinto per la prima volta il campionato di calcio Italiano. Per dare maggiore risalto all’evento e per coinvolgere anche i paesi vicini la squadra che avrebbe sfidato la ROMA fu chiamata ALTO LAZIO. Vittorio Calcagni (Bembarek) insieme ad altri compaesani si diedero molto da fare per organizzare la partita e ingaggiarono calciatori dei paesi vicini, tra questi ricordo Mucciante, Antonio Capotosti. L’organizzazione fu perfetta e la domenica della partita gli spalti, erano stracolmi perché a Capranica si potevano ammirare per la prima volta dei campioni di serie A e tra questi: ANDREOLI nostro illustre compaesano, MOSCA, IPPOLITI, STENTELLA, DAGIANTI, SCHIAVETTI, JACOBINI, KRIEZIU, CARISTI, COLANERI, BONAIUTI e il Capranichese PAOLO MARINI. La nostra squadra invece era composta da C. Calcagni, M. Felici, B. Corradini, L. De Luca, Girardi, A. Capotosti, Mucciante, F. Baldi, R. Tanci, Vecchiarelli, Palmari. Per tutti noi fu una grande emozione giocare con tali campioni e per il paese fu una festa. Perdemmo 4 a 1, il nostro gol fu realizzato dal capitano Carletto Calcagni con un bel tiro dalla distanza. I calciatori della AS ROMA Vecchie Glorie furono omaggiati con prodotti locali e invitati ad una bella cena insieme alle figure di rilievo del paese, il Sindaco Ing. Ugo Morera, il Maresciallo dei Carabinieri, il Parroco Don Alberto presso la trattoria di Giovanni Morera che si trovava in corso F. Petrarca tra il negozio di abbigliamento De Santis e la Gioielleria Zanganella.
Tratto dai ricordi di Mario.
Terza parte
Correva l’anno 1963, nel paese scoppiò la passione per il calcio e un gruppo di volenterosi compaesani tra cui, i più attivi, mio fratello Giggi Felici (Bellafronte), Mario Oroni (u Maè), i fratelli Tempesti, Pietro Cintoli (che poi ne divenne presidente), Giovanni Morera, V. Spinella, Gigi Pella, Stelio Salvitti, Guerriero Ciomei, Enzo Mantrici (Bergonzò) Aldo Morera, Fulvio Morera, Vittorio Calcagni, Mauro Oroni organizzarono una sottoscrizione per finanziare e creare una squadra di terza categoria. Nacque così l’U.S. CAPRANICA e in una riunione al C.R.A.L., aperta a tutti, furono scelti i colori sociali: AZZURRO con fascia orizzontale BIANCA. Mio fratello Giggi Felici (Bellafronte) ordinò le maglie da MARANGO SPORT a Roma in Viale delle Province. Un giorno di luglio arrivò con la sua motocicletta con una valigia, si fermò al bar di “Sinalello” (dove era il negozio Sport 4) e tirò fuori questi completi con lo stupore e l’euforia di tutti e tra questi Antonio Luzzitelli (Tonino Grisino) che fu il primo a vederli e che quando ci incontravamo me lo raccontava sempre.
Tratto dai ricordi di Mario.
Prima parte
Spesso sentiamo dire “gli opposti si attraggono”, in alcuni casi si fondono, diremo noi, fino a diventare un’unica entità, un’unica figura. E questa disputa interna trova la sua quiete nell’essere vissuta d’istinto e in totale libertà: centravanti o portiere? Tutti e due e così è stato! Questa è la storia di Sestilio Petrucci da Capranica classe 1938, 4 maggio, grande passione per il calcio, grande versatilità di atleta al punto da vivere questo sport nelle due fasi, quella difensiva e quella offensiva. Persona dal carattere buono, allegro, restio al litigio si sapeva calare nel ruolo di portiere quando ce n’era bisogno ma con un fiuto del gol molto spiccato ed insieme a Cesare Sansoni formava una coppia davvero proficua nell’arte del gol. Notizie frammentarie ci descrivono partite in cui il bravo Sestilio fece parate importanti. Fanno da contraltare prestazioni in attacco dove pare segnasse vari gol e qualcuno anche spettacolare. E’ nostro piacere ed onore rendere omaggio a questo nostro compaesano con alcune istantanee che fermano il tempo e come al solito, con le vostre preziose testimonianze che correggeranno le nostre eventuali imprecisioni e che ce lo faranno conoscere meglio.
di Loia Luigi
Terza parte
Di Sestilio ricordo poco da calciatore poiché avevo solo 6 o 7 anni quando lui giocava, giusto qualche flash nonostante abitassi ad un tiro di schioppo dal campo sportivo. So che era un grande attaccante con un gran fiuto del gol ed un ragazzo allegro. Ho forse qualche ricordo in più di lui portiere. Dopo svariati anni ci ritrovammo a conversare non so dove e in che occasione ma probabilmente l’argomento trattato era la fatica che si fa nel calcio, il grosso dispendio di energie che c’è allenandosi durante la settimana. Mi raccontò un fatto che gli era capitato tempo indietro. Pare che la mamma di Sestilio lo vedesse particolarmente giù di tono e molto pallido in faccia. Un giorno si decise a portarlo dal dottore per verificare il suo stato di salute. Dopo averlo visitato il dottore tranquillizzò entrambi dicendo che non c’era nulla di cui preoccuparsi, l’unica raccomandazione è che il ragazzo avrebbe dovuto mangiare parecchia carne durante i pasti per un paio di settimane. Sestilio ascoltò attentamente le raccomandazioni del dottore e intervenne con franchezza ed ironia: “Dottò, nun’è che nun mi piace a carne è che nun ci l’ho”. Condizione peraltro comune a molti in quell’epoca ma che ci racconta sinteticamente alcune delle qualità umane del caro “Sestì”.
di Romagnoli Fabio
Seconda parte
Petrucci Sestilio è stato per il calcio capranichese un grande goleador, particolarmente bravo in area di rigore. Se la memoria non mi tradisce in un campionato segnò oltre trenta gol, molti fatti di “rapina”. Forse il più bel gol lo realizzò in un torneo a Bassano Romano dove in rovesciata dal calcio d’angolo beffò un certo Sernacchioli Girolamo. Come portiere ricordo soltanto una partita giocata a Veiano dove purtroppo perdemmo 2 a 0. In campo come nella vita era una persona tranquilla, non l’ho mai visto comportarsi da attaccabrighe.
di Oroni Fabio
Prima parte
Quando dici “Sansoni” a Capranica dici molto, sotto vari punti di vista. Questa famiglia ha sempre rappresentato un pilone importante nella storia del nostro paese ma oggi non vogliamo parlare di nient’altro che non sia sport, più precisamente parleremo di calcio. Eh sì perché il cognome Sansoni a Capranica è anche questo. Oggi vediamo tanti bambini rincorrere un pallone con i loro completini colorati ma quasi nessuno di loro sa che la pietra miliare del nostro calcio è stata posata il secolo scorso da una manciata di pionieri che si sono riuniti intorno ad un pallone credendo in un sogno. Tra quelle file Cesare Sansoni, classe 1935, 4 aprile. Comincia a giocare coi ragazzi del posto cercando qualche spiazzo erboso dove poter tirare due calci. A volte percorrendo l’antica strada di “valle santi” si mette a giocare coi suoi amici in quella lingua di terra paludosa dietro il ponticello della ferrovia; altre volte attraversano i binari della piccola “stazioncina” della Madonna del piano fino a raggiungere il vicino prato delle “colonie” dove nelle estati del periodo della guerra venivano portati i bambini delle colonie, appunto. Li, con Vittorio Calcagni e fratelli, Gianni e Italo Giampietro trascorrono interi pomeriggi e con una palla con degli stracci bagnati si prodigano nell’arte di quell’umile calcio. A Roma Cesare e comincia a giocare con un pallone vero negli anni ’50 e come nella tradizione familiare dei Sansoni, vestirà la maglia della Fortitudo giocando al Trionfale poi a Porta Metronia. Giocherà anche nella squadra di Ponte Milvio, la “Milvia” per l’appunto dove realizzerà in una sola partita la bellezza di otto gol, un record di cui ancora oggi va fiero. Il ragazzo ha qualità e proprio in riva al Tevere, soffierà il posto a suo fratello Giorgio che in quella squadra lo aveva portato. Della Milvia fa parte anche Volfango Cherubini che ritroverà successivamente anche nel Capranica. Cesare ha già il fiuto del gol, un richiamo irresistibile che lo manda fuori di testa. Come quella volta a Sezze che durante la partita si infortuna e siccome le regole non prevedevano cambi, viene spostato dal mister, come consuetudine del tempo, all’ala sinistra. Rimane fermo per varie azioni con il suo ginocchio malridotto, come vuole anche una tacita regola del campo, aspettando il termine della gara. Ma quando vede passare il pallone buono stringe i denti e va a segnare. I tifosi avversari si arrabbiano, succede il finimondo, e lasceranno il campo molto frettolosamente tanto che Cesare dovrà dire addio ad una delle due scarpe, il caro prezzo di quel gol.
Sarà uno dei primi giocatori a militare in quel Capranica dalle maglie azzurre, parteciperà anche lui al torneo “Bruno Storti”. Cesare è attaccante prolifico, una prima punta di razza. Si muove con scaltrezza dentro l’area di rigore ma è veloce anche nel contropiede giocando sempre sul filo del fuorigioco e molti dei suoi gol li realizzerà proprio così. I vari Messina, Tosin, Angelis detto il “Callararo” giocano forte e lo cercano con insistenza; lui si fa trovare all’appuntamento con il gol e se non la mette dentro fa passare sciagure alle retroguardie avversarie. Nel primo campionato che vedrà il Capranica vittorioso Cesare realizzerà 22, 23 gol. Tra i tanti, il ricordo di un “poker” al Castel S. Elia in una sola partita e uno al Nepi con un tuffo di testa quasi a rasentare il terreno. A Vignanello acerrima rivale segnerà una delle due reti nella vittoria in una trasferta “rovente”. Squadra e tifosi erano partiti per Vignanello con due autobus vista la delicata partita. Il Vignanello era secondo ad una sola lunghezza e aspettava questa contesa per scavalcare il Capranica. Ci furono momenti di tensione sia in campo che fuori. Gli spogliatoi erano a più di cento metri dal campo e quella obbligatoria ma sconveniente passerella provocò degli attriti tra tifoserie e giocatori, ma nulla di grave fortunatamente. Era il campionato 64/65 Il Capranica chiuse al primo posto anche per il positivo apporto di Cesare Sansoni al quale vogliamo dedicare il giusto tributo per una carriera tra le file amaranto.
di Luigi Loia
Seconda parte
Cesare farà parte della squadra degli avvocati di Roma partecipando ad un torneo poi brillantemente vinto da quella compagine. Siamo nel 1969 e nella partita di andata giocata A Roma contro il Nizza vincono per 2 a 1. Il ritorno sarà disputato in Francia allo stadio Luigi XVI. In quella partita, causa un’indigestione del portiere, Cesare sarà costretto ad indosserà i guanti senza far rimpiangere il numero uno titolare. Il tripudio si consumerà a Nizza dopo l’1 a 1. A contenere un articolo ingiallito dal tempo, un quadro appeso alla parete del suo studio. Una pagina di giornale scritta in lingua francese, e in cima a quella formazione quel cognome che i vicini transalpini avranno sicuramente chiamato Sansonì con l’accento sulla “ì”
Tratto dai suoi ricordi
Terza parte
La passione smuove le montagne! Ma non i camion! Come quella volta che Cesare insieme a Renato Fiorentini, Franco Boccalini, Enzo “Garò” meditano di organizzare una partita con i pari età del Caprarola. In fretta e furia pianificano il viaggio per arrivare sotto “lo diritto” per organizzare l’evento. Cesare ha due biciclette ed una la presta a “Garò”. Franco e Renato usano le bici delle sorelle di Tomassino Speranza che in tutta amicizia le farà avere loro. Nel tratto che porta da Ronciglione a Caprarola un camion sbanda e nel tentativo di evitarlo i quattro finiscono per terra. A parte Cesare che era nell’ultima posizione “Garò” rimedia una botta alla spalla ma Franco e Renato ne avranno per un mese per trauma cranico. Verranno soccorsi dalla scorta dell’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi, ospite a Palazzo Farnese. Quella partita non fu più organizzata e Cesare fu costretto suo malgrado ad avvertire i genitori delle condizioni dei malconci amici.
Tratto dai suoi ricordi
Prima parte
Quando si parla di calcio a Capranica non può non venire in mente la figura di Giorgio Sansoni, uno dei precursori di questo sport nel nostro paese che spesso vediamo ritratto in quella mitica foto insieme a Carlo Zappa, a Bembarek, Rizzupilo, Zuccadò e company. Giorgio Sansoni, classe 1933, 24 aprile comincia a tirare i primi calci nella squadra collegiale del “EX ALUNNI MASSIMO” di Roma, poi passerà alla MILVIA dove porterà anche suo fratello Cesare. Successivamente farà parte della squadra del Capranica, disputa un campionato ma ben presto cerca spazio altrove perché è uno che vuole giocare sempre e a Capranica non ha quelle certezze. Entrerà a far parte del Cura dove invece quelle certezze gliele danno e si sente più tranquillo. Giorgio è mancino e gioca terzino sinistro anche se in qualche occasione verrà impiegato anche sulla fascia sinistra, è un giocatore duro, uno che non va per il sottile, uno di quelli che ti fa male anche se solo ti tocca. Il Giorgio da “combattimento” si trova bene in qualsiasi partita dove c’è “battaglia” ma è sui campi pesanti che fa la differenza. Viene fuori sempre vincitore dal fango avendo la meglio sugli avversari e laddove gli altri scivolano e annaspano lui esce indenne e con la palla al piede come un carro armato quando aziona i suoi cingoli. Ha le gambe un pò arcuate ed una corsa molto particolare fatta di passettini molto corti e rapidi, proprio per questa sua caratteristica gli verrà affibbiato l’appellativo di “Punti perfetti”. Anch’egli farà parte della squadra che si aggiudicherà il trofeo “Storti” e pur non avendo giocato tantissimi campionati ha continuato con grande passione fino a tarda età, nei tornei paesani, nel campionato amatori e anche nelle partite di una sera tra amici dove è stato invitato sempre con grande piacere e simpatia. Questo omaggio, questa dedica è per Giorgio Sansoni, una delle pietre miliari del calcio Capranichese.
di Luigi Loia
Seconda parte
“Rovi provvidenziali”
Dopo aver vinto uno dei gironi di terza categoria la Milvia accede agli spareggi per il passaggio in seconda categoria. A Roma le squadre sono molte e per la promozione in categoria superiore bisogna affrontare le vincitrici degli altri gironi e alla Milvia tocca il Palestrina. La partita prende una piega molto brutta infatti la Milvia sta perdendo per 3 a 0 quando a Giorgio viene un’idea a dir poco diabolica. I campi di allora non hanno recinzione quindi c’è quasi il contatto col pubblico, con la vegetazione spontanea, i palloni spesso terminano fuori e i calciatori se li vanno a riprendere personalmente. Proprio su un pallone finito in un cespuglio l’intervento non proprio sportivo ma molto efficace; Giorgio si accorge che il cuoio del pallone ha un punto leggermente scoperto che lascia intravedere la camera d’aria, giusto il tempo di organizzare un “incontro” con la spina di un rovo e il buco è fatto. Le società allora erano povere e avevano a malapena un pallone, il Palestrina infatti aveva solo quello e la Milvia che ce lo aveva si guardò bene di tirarlo fuori poiché non era obbligato a farlo e soprattutto perché gli conveniva. Il risultato fu di partita sospesa per quella trovata di Giorgio anche se la Milvia non tornò più a Palestrina per ripetere la partita scansando la malaugurata ipotesi di ricevere una bella razione di “botte”. Dai racconti di Cesare.
Terza parte
“Ma siamo fratelli!”
Giorgio sicuramente nella sua carriera, come tutti i giocatori, era attratto dalla vittoria ma ancor di più dallo scendere in campo titolare, è risaputo che sarebbe andato fino a Timbuktu pur di giocare una partita. Mentre Giorgio è già al Capranica Bembarek è sulle tracce di suo fratello Cesare e si adopera per portarlo dalla Milvia al Capranica per rafforzare la squadra. Riuniti i fratelli però Giorgio resterà un anno solamente, chiederà di essere ceduto al “Cura” perché vuole avere la garanzia di giocare sempre e il Capranica non gliela può dare. Ironia della sorte un bel giorno ha luogo la partita tra il Capranica e il Cura dove i fratelli Sansoni si ritrovano avversari uno difronte all’altro. Al primo calcio d’angolo, quando i due stazionano in area di rigore, Giorgio, giocatore tosto e spigoloso, conoscendo le caratteristiche di “rapace” dell’area di rigore di Cesare lo marca talmente con vigore che lo travolge scaraventandolo a terra. L’arbitro è li a due passi concede il calcio di rigore e spedisce fuori dal campo Giorgio. L’ingegnere cerca in ogni modo di discolparsi, di dire che non c’è cattiveria nel suo intervento e dichiara all’arbitro: “ma siamo fratelli!”. L’arbitro trattiene a stento il sorriso ma non c’è niente da fare “Le regole sono regole” e Giorgio guadagnerà gli spogliatoi anzitempo. Cesare nel frattempo calcia il rigore e realizza il gol e tra le urla di esultanza, rivolgendosi al fratello appena uscito dopo l’espulsione, gli mostra il “gesto dell’ombrello”. L’arbitro si accorge ed espelle anche Cesare. Del prosieguo non abbiamo chiesto notizie.
Prima parte
Spesso lo vedo per Capranica con un passo un po dinoccolato, ora vicino alla propria abitazione, ora a fare la spesa, ora in cammino verso il centro storico; un moto perpetuo quasi in ricerca spasmodica di essere e di arrivare ovunque, come pensa e fa un portiere. I più giovani non possono immaginare che quel simpatico nonnetto volava da palo a palo su una terra ingrata che non faceva altro che scorticargli la pelle. Girolamo Sernacchioli, per tutti Girò, con il sogno di parare, di essere il padrone dell'area in un calcio ormai inghiottito dal tempo. Ho ricordi nebbiosi di quando giocava, ma per me già il fatto che fosse il portiere del Capranica mi bastava per dire che era bravo. I pochi flash che ho di lui mi ricordano di un portiere deciso, coraggioso, uno di quelli che amava le mischie con voce e temperamento. Non vorrei dire altro ma lasciare spazio a queste foto che ci riportano in un'altra epoca e con la loro forza ci raccontano un po meglio il nostro portiere che insieme a tanti altri "giovanotti" dell'epoca hanno tenuto alto il nostro vessillo amaranto. Luigi Loia - Le foto sono state gentilmente concesse dalla famiglia Sernacchioli
Seconda parte
Era il periodo dell’austerity e dovevamo fare una trasferta ad Oriolo Romani, credo fosse il 73/74, l’allora Presidente Mario Cherubini contattò Giulio Galli per farci accompagnare alla stazione di Capranica con il suo bus. Da lì col treno avremmo poi raggiunto Oriolo Romano per la partita. Dopo il viaggio in treno giungemmo alla stazione di Oriolo Romano, ma da lì al campo sportivo c’era da fare una notevole scarpinata di qualche chilometro. Subimmo una netta sconfitta portando a casa tre gol. La distanza verso la stazione fu nuovamente coperta a piedi prima di raggiungere di ritorno la stazione di Oriolo Romano. Una volta li, controllando gli orari degli arrivi e delle partenze, ci rendemmo conto che il treno non sarebbe passato prima di un’ora e mezza. Girò era furioso! Dopo la partita l’appetito lo attanagliava. Aveva fame! Quando aveva fame era incontrollabile, non arginabile e bisognava assolutamente porre fine al digiuno. Vicino alla stazione c’era una trattoria o una rosticceria, non ricordo bene e con tutta la squadra facemmo una sosta per contenere la fame, soprattutto quella di Girò che mangiava e continuava a sbraitare; chissà se per la fame o per la sconfitta subita. Finì a tarallucci a vino con risate e ogni forma di simpatica “bassezza da spogliatoio” che tra amici e nel contesto di una squadra di calcio spesso viene perdonata e la delusione della sconfitta fu presto dimenticata. Fabio Romagnoli.
Prima parte
“Il calcio mi ha riempito la gioventù”. Con questa frase così semplice e così forte è iniziata la testimonianza di Antonio Speranza. Data l’assenza di ogni altra iniziativa e forma di svago in quell’epoca, è immaginabile che l’abbia riempita a molti altri che hanno praticato questo sport. Antonio, meglio conosciuto come “Totto”, nasce a Capranica il 21/10/1946 e come tanti altri ragazzi comincia a giocare per le vie del paese, presso i già noti luoghi, “u Mandrì” , l’”Acquaforte” ed anche nello spiazzo sterrato delle “case nuove” (di fronte alla Banca) dove si alternano un’infinità di partite con le corse in bicicletta che l’”anello” del quartiere offre. Il pallone ha già conquistato tanti ragazzi e anche se le scuole calcio non ci sono a Capranica ha luogo una sorta di “prova”,praticamente un provino paesano che si svolge davanti ai muri e nello spiazzale antistante della Madonna del Piano. Artefice di questa iniziativa l’indimenticato Sestilio Petrucci che con occhio vigile controlla con estrema minuzia la qualità dei “tocchi del pallone” per scovare qualche bravo giocatore da mettere in squadra. E Totto è uno di questi. Altra figura importante dell’epoca è il maestro della scuola Caronti che avendo giocato al calcio fornisce subito ai ragazzi l’idea di cosa che fosse una squadra di calcio; viene da Subiaco, è molto severo ma i ragazzi lo adorano al pari di uno zio. Come a tutti i bambini anche a Totto piace fare gol ma nella sua carriera giocherà prettamente a mediano e terzino. Di buona statura è molto solido nei corpo a corpo ed è difficile saltarlo. Staziona in difesa ma ha mantenuto qualche istinto primordiale dei suoi inizi di aspirante “punta”. Gli piace attaccare e spesso si spinge in avanti, scardinando quelli che sono i vecchi criteri del “sistema”, cosi come il più noto campione Giacinto Facchetti che vede come modello. Ha un bel calcio e quando si profila qualche calcio di punizione lui è tra i preferiti per battere a rete. Dopo alcuni anni giocati a Capranica la Viterbese gli mette gli occhi addosso e dopo un pò di tira e molla lo porta tra le sue file. Da un unico allenamento nel Capranica Totto si ritrova a doverne fare tre o quattro a Viterbo e questo non concilia più con lo studio per il quale è attratto. Allora dopo alcuni mesi parla chiaro ai dirigenti dicendo che a lui il calcio piace ma per il futuro pensa a ben altro. La dirigenza e l’allenatore Imre Kovács, che lo stimano molto, capiscono le motivazioni del ragazzo e a malincuore lo lasciano andare. Torna a Capranica dopo quella breve ma significativa esperienza facendo tesoro di quanto imparato. Anche lui è uno dei protagonisti della vittoria al Trofeo “Storti”. Gioca nel Capranica della stagione 64/65 che vincerà il campionato e ci mostra anche la foto di una squadra del Capranica dell’anno successivo, con le maglie rosse, che a suo dire ricorda come la più forte, dove sono schierati Nelli, Calvani, Torelli, Speranza, Tanci, Messina, Mascìa,
Cartamantiglia, Marin, Calcagni C..
In un incidente d’auto causato da una banalità riporta una lussazione dell’anca, continua a giocare Totto ma intuisce che qualcosa non funziona e sente di non essere più quello di prima. Giocherà anche nel Capranica sotto la presidenza Piccirilli e anche li di nuovo su un contrasto durante un colpo di testa si taglierà la palpebra in due. Corsa all’ospedale di Ronciglione accompagnato dal Dott. Ettorre con l’occhio riesce a vedere anche attraverso quella palpebra chiusa. Sarà una fortuna incontrare li il Professor Liberati che nel suo passato aveva avuto anche delle esperienze come chirurgo estetico. Accuratamente gli applica dei punti piccoli e precisi che rimetteranno esattamente le cose come stavano senza che il fascino del buon “Totto” ne risenta. Giocherà ancora in qualche campo di calciotto di Roma peraltro ben figurando in mezzo ad ex campioni di serie “A” ma noi lo ricordiamo con piacere tra le file del nostro Capranica. Ad Antonio Speranza, per noi Capranichesi Totto, il nostro apprezzamento e l’omaggio per il suo prezioso contributo calcistico.
di Luigi Loia
Seconda parte
“Il ricatto”
Nel corso delle feste paesane era stato organizzato a Capranica un torneo giovanile dove partecipava anche la “Murialdina”, squadra molto blasonata all’epoca. La dirigenza della Murialdina, a conoscenza delle qualità di Totto, pretese di avere in prestito il giocatore capranichese per un torneo che si sarebbe disputato contemporaneamente a Viterbo nel quale partecipava anche la Viterbese. Ma se così non fosse stato avrebbe disertato il torneo di Capranica, più testualmente dissero: “ho ci date Speranza ho non veniamo al torneo”. Il presidente Pietro Cintoli onde evitare che il torneo “saltasse” acconsentì al prestito e accompagnò personalmente il ragazzo al successivo torneo di Viterbo. Nonostante Totto ed altri due rinforzi, il centrocampista Zaccheroni e l’attaccante Carli avuti in prestito da altre squadre, la Murialdina perse malamente contro la Viterbese per 1 a 0.
Terza parte
“I Frati Orlandesi”
A Capranica venivano spesso i frati Irlandesi o come li chiamavano i Capranichesi i “frati Orlandesi” che alloggiavano presso la struttura attigua alla Madonna del Piano. A parte le loro corporature già statuarie, alcuni erano degli sportivi veri infatti due di loro giocavano in serie A nel Rugby Roma Olimpic. Grazie anche a Padre Edoardo due frati vennero a giocare col Capranica. Prima che cominciasse uno dei campionati ci incontrammo al campo per fare una partita di riavvio stagione contro la squadra dei frati Irlandesi. Io giocavo centrale e marcavo uno di questi frati che giocava centravanti, un marcantonio di ragazzo che mi metteva in difficoltà spesso. Pur essendo un difensore non tenero non riuscivo a contenerlo e nel giro di poco ci fece un paio di gol. Provo allora a riaffrontarlo ancor più duramente ma niente, mi ritrovo ancora col sedere per terra. Solo dopo riuscii a capire che si trattava di un giocatore che militava nella nazionale irlandese. Era lì perché stava preparandosi per andare a fare il missionario e mi fece vedere alcune lettere ricevute e firmate dal campione inglese Bobby Charlton con il quale aveva giocato ed intratteneva un’amichevole corrispondenza.
Tratto dai ricordi di Antonio “Totto”
Quarta parte
“Il Maestro”
Mi trovavo nei pressi della fermata dell’autobus in quanto dovevo recarmi a Viterbo. Arrivato l’autobus salgo e mentre mi guardo intorno per cercare posto intravedo una figura a me conosciuta. Seduto con il suo consueto “basco” il mio vecchio allenatore Imre Kovács. Mi avvicino a lui e con rispetto gli dico: “Maestro come sta? Allena ancora?”. “No ormai sono troppo vecchio per allenare!” risponde lui e dopo un attimo di pausa riprende con il suo italiano sbilenco: “Sai, allenavo un ragazzo alto biondo, molto bravo, che era di Capranica.” Erano passati una decina di anni da quando mi aveva allenato e pur non avendomi riconosciuto si ricordava ancora di me. Forse per rispetto, forse per una sorta di protezione non ebbi il coraggio di dirgli che ero io.
Tratto dai ricordi di Antonio “Totto”
Il calcio radicato nel suo DNA, Il campo sportivo nei suoi pensieri sin da bambino quando, un vallone pieno di anse, terra e pietre stava per essere plasmato in un terreno di gioco. Appena tredicenne Renato partecipa attivamente ai lavori, sgambettando in quel campo, ora portando bottiglie per dissetare i lavoratori ora riparandosi prima dello scoppio delle mine usate per svuotare quello scomodo pendio, ora riempiendo i carrelli da miniera per scaricarli poi a valle. Tanci Renato, classe 1934, 19 ottobre, in quel campo praticamente ci è nato ed è li che ha cominciato a muovere i suoi passi da calciatore. Li mosse talmente bene che nei primi anni 50 organizzato a Capranica venne notato da un selezionatore della Roma. Su di lui e solo su di lui, esile come uno stecchino, vennero rivolte tutte le attenzioni per portarlo a Roma. “Lo faremo diventare grande” gli dissero ma Renato aveva solo sedici anni e nessuno si prese la responsabilità di ospitarlo a Roma perché minorenne. L’operazione salta, il sogno svanisce e l’amarezza dilaga nel cuore del ragazzo. Ma come spesso succede questa volta non ci sarà resa, Renato giocherà ancora per molto tempo. Giocherà a Ronciglione, a Sutri, a Capranica e con la squadra delle “Vecchie Glorie” a Nepi . Ha ricoperto quasi tutti i ruoli difensivi egregiamente con una duttilità sorprendente e dotato di buon senso tattico. Un difensore a cui non mancavano certamente sprazzi di classe ma allo stesso tempo grintoso e determinato in marcatura. Se le sue doti di atleta sono state eccellenti non sono da meno quelle morali. Ha ancora negli occhi e nella voce il senso della correttezza, dell’onestà, della lealtà sportiva che ancora oggi predica come un mantra. Come quella volta a Vignanello, l’anno in cui il Capranica vinse il campionato, fu colpito duramente da un avversario stizzito per essere stato anticipato di testa, l’arbitro vide tutto e stava per espellere il giocatore del Vignanello ma Renato minimizzò l’accaduto sostenendo “lasci stare sono inciampato da solo”. L’arbitro sbalordito non potè far altro che comprendere il gesto e lasciar correre difronte a così tanta grandezza d’animo. L’avversario, per questo gesto così sportivo successivamente non tardò a stringergli la mano. Ci sarebbe da dire molto altro ma credo che già quest’ultimo racconto tracci un profilo indelebile dell’uomo che meriterebbe di essere portato da esempio in tutte le scuole calcio di oggi. Con questo articolo vogliamo omaggiare uno degli artefici del calcio Capranichese, Tanci Renato o se volete quel “giovanotto” di Ottantasette anni che tutti conosciamo affettuosamente col nomignolo di “Tirinti”.
In una partita a Montefiascone allenato dal nostro compaesano Sergio Andreoli questi pare abbia dichiarato all’allenatore del Capranica tale Volfango “oggi vi segniamo da tutte le parti”. Volfango con calma ma con decisione rispose “Oggi segnate solo con la matita” poi pregò Renato di porre particolare attenzione al centravanti avversario, di riservargli una marcatura strettissima perché questi era molto forte, addirittura proveniva da categorie superiori. Tirinti rispettò le consegne ottenendo una grande prestazione tale da suscitare frustrazione nell’attaccante avversario che voltandosi a lui disse: “E fammi respirà almeno!”
Durante una partita in casa con il Sutri il Capranica stava perdendo per due a zero. Renato non giocava e si trovava in paese per altre faccende. Suo fratello corse a cercarlo per convincerlo a dar man forte alla squadra che era in netta difficoltà. In fretta e furia la cosa fu organizzata e si presentò in campo all’inizio del secondo tempo. La partita fini 2 a 2 con una bella prestazione di Tirinti che oltre a risultare incontenibile riuscì anche a segnare ed il portiere avversario demoralizzato esclamò “questo lo fermi solo co’ lo mitra!”
Si disputava una partita del Trofeo Storti e fu assegnato al Capranica un rigore per un fallo dubbio su Tirinti. Il giocatore Capranichese da subito si oppose alla decisione arbitrale benchè fosse a suo favore affermando con lealtà sportiva “questo è un regalo che non voglio”. Rincarò la dose Girò gridando a gran voce ed elogiando il compagno “questa si che è sportività”. Antonio Chiassarini dovette comunque tirare il rigore, Renato gli si avvicinò e in tutta amicizia gli disse “spero che lo sbagli, non per mia cattiveria semplicemente perché non ce lo meritiamo” ed ironia della sorte fu proprio così. Era un altro calcio.
... tratto dai suoi ricordi ...
Proprio li nel quartiere di ruscelli, a due passi dal campo sportivo, dove la strada piega per andare a Ronciglione, c’è un palazzo color giallo, che, se lo avessero saputo prima in America, lo avrebbero subito battezzato come “area 51” ben prima della misteriosa e inaccessibile spianata del Nevada. E si perché all’interno di quell’edificio si vocifera che risiedessero la bellezza di 51 tra bambini, adolescenti, ragazzi sia maschi che femmine. Molti di loro “fioriscono” con la passione per il calcio che si espande nel mondo e comincia a raggiungere anche luoghi meno metropolitani, come la splendida Capranica. Tra questi ragazzi c’è Nazzareno Onofri, giovedì 21 di agosto del 1947. Ha già rincorso il pallone a “Castrovecchio” e “giune u’ frate” ma ora è pronto per buttarsi dentro un campo sportivo col suo pseudonimo, che tutti a Capranica e fuori conoscono col nome di “Neno”, anzi, per dirla tutta “NENO MONNO”. Quel campo di calcio sterrato piano piano prenderà forma cambiando sembianze e colore diventando verde come l’età di quei ragazzi che ci butteranno dentro fatica e sudore per rincorrere un pallone. E’ dotato di una discreta tecnica, abbastanza veloce e ben presto veste la caratteristica maglia amaranto del Capranica anche se gli piace anche il “Rossonero” infatti simpatizza per il Milan. Neno comincia come ala sinistra ma ben presto scende nei ruoli dove, più che usare il “fioretto” bisogna usare “la sciabola”. Il carattere non gli manca anzi più di una volta gli fa brutti scherzi perché Neno ha il sangue caldo e basta un niente per andare fuori giri. Per un periodo giocherà in squadra anche il fratello Luigi, ed anche questo a suo dire sarà motivo di tensione sia per un fraterno senso di protezione verso il fratello sia perché sa che Luigi è abbastanza “tosto” nel gioco, il che può provocare scintille in campo. Gioca dietro alternandosi tra terzino sinistro e da stopper al fianco di Luigi De Luca (Giggi i Maricà) col quale in campo ha un feeleng perfetto. Il ragazzo è molto attento all’alimentazione e si raccomanda a mamma Jole di farlo stare leggero prima delle partite. Neno, prima della gara, va a letto presto, un letto condiviso con Tonino al centro e Luigino dall’altro lato come una moderna “difesa a tre”. E’ si sta bene in tre! Ci si stringe e ci si scalda nelle notti fredde e umide capranichesi, per il resto ci pensa mamma Jole che inforna legna nella stufa da mattina a sera. Neno “amoreggia” presto, come si dice a Capranica, e a 16 anni è già fidanzato con Gianna, ma nel corso di questo fidanzamento non trascura le sue altre due passioni alternando il suo “fucile” ai suoi “scarpini”. Spesso dopo una battuta di caccia mattutina e una partita pomeridiana rimane poco tempo da condividere con la sua fidanzata e nasce qualche impedimento tecnico. Infatti la giovane Gianna vorrebbe vedere un film al cinema ma si sa, d’inverno alle 17 è già buio e quando chiede di uscire, la mamma la frena gelosamente con tono serio e ammonitore: “do’ nate che è buio”. Il papà Afredo subentra al vecchio custode del campo Gilberto Andreotti alias Gibbè e Neno spesso va con lui ad aiutarlo a sbrigare le varie faccende: segnare le righe, tagliare l’erba, sistemare gli spogliatoi. Probabilmente nasce qui un amore indissolubile e viscerale con quel campo che Neno comincia a vedere da una diversa angolazione dopo averlo, fino ad allora, solo calpestato con il pallone. Quando lascerà l’incarico papà Alfredo, Neno sarà per lungo tempo custode e segretario, quel campo per lui diventerà un’entità quasi umana, come un figlio da difendere, a tutti i costi dopo averlo curato centimetro per centimetro. Più volte la sua voce ha risuonato sbraitando per qualche mancanza dovuta alla gioventù dei giocatori. Arrivava con fare rigoroso aggrottando le sopracciglia, coi suoi baffoni un po’ stile Pruzzo un pò Franco Nero e allora erano guai: “Nun vi mettete line a porta!”, “laggiù nun ci nate che ho seminato!” Se vedeva qualche cosa preso a sua insaputa allora ammoniva: “Chi v’ha dato ordine da pià quelli pallò! Mi l’ate da chiede a me è cose ” Ma a parte questi suoi modi un pò “coloriti”, Neno è stato per lungo tempo segretario, ha visto passare miriadi di giocatori, dirigenti, presidenti è stato un personaggio operoso per la società del Capranica a partire dalle attività ordinarie di campo, compilazione delle liste, tesseramenti, corrispondenza con la federazione ecc. Proprio per questo nella stagione sportiva 2014-2015 il Comitato Regionale Lazio ha tributato a Nazzareno Onofri una targa come Dirigente Benemerito per l’impegno profuso nell’ ASD CapranicaSutri . E’ stato particolarmente attivo per far dotare il campo sportivo della copertura della tribuna. Insieme ad altri lo abbiamo visto impegnato nelle feste di carnevale vestito di tutto punto per raccogliere fondi per la società e nella circostanza, ogni tanto, “costretto” anche da Gianna a farsi qualche giretto di valzer. Così come abbiamo fatto anche per altri personaggi vogliamo dedicare a Neno questo articolo.
“LA TRAVERSA”
Siamo sul finire degli anni ‘90 e sotto la guida del Mister Tonino Onofri la squadra del Capranica si sta allenando prima della partita infrasettimanale di coppa Italia contro l’ APPIO LATINO. L’allenamento sta volgendo al termine e Neno per impegni deve assentarsi anzitempo. Chiede a Michele Paolantonio, portiere del Capranica di chiudere lui l’impianto e riportargli le chiavi l’indomani. Michele risale la rampa che conduce negli spogliatoi quando ha inizio una sorta di sfida tra il giocatore Alessio Labella e il secondo portiere Angeletti ancora rimasti in campo. Nel corso dei tiri Labella lascia partire un “missile” che colpisce in pieno la traversa che viene letteralmente staccata dall’innesto dei pali e nello stupore dei pochi presenti cade a terra. Panico totale! Non tanto per il danno occorso in modo fortuito ma per l’interrogativo che si poneva in quel momento: “mo chi li li dice a Neno?”. Inizia un conciliabolo tra il Mister Tonino Onofri, Michele Paolantonio e gli altri giocatori per risolvere il dilemma ma si teme la furia di Neno ancora ignaro dell’accaduto. Il designato per la comunicazione dello sfortunato evento sarà Michele che cerca invano Neno per tutta la serata, probabilmente impegnato per qualche riunione in comune o alla pro-loco. Non trovandolo passa a casa di Giggi i Maricà al quale racconta l’accaduto e lo prega, quando dopo cena andrà al bar, di dire a Neno dell’accaduto. Giggi declina: “Ah! E chi u sente! Poi io stasera c’ho da fà qui casa e nun scappo”. La mattina seguente Michele è al lavoro in giro per Capranica quando viene raggiunto da Neno che già aveva scoperto da se che alla porta mancava la traversa e la “canata” ha inizio: “Nun vi faccio entrà più!” grida Neno, nate a giocà giune u’ piazzale di lavoratori!” Michele tenta di spiegare che è stato un incidente ma niente: “A traversa s’è rotta perché vi ci sete attaccati!” sostiene Neno. Insomma dopo minuti di urla e arrabbiature tutto si placa e i due si allontanano. Sarà poi l’indimenticato Luigi Innamorati (Giggi u’ Mingo) insieme a Neno a risistemare il tutto e la partita di coppa Italia fu disputata regolarmente nei giorni a seguire.